Come ho detto nel post precedente sto frequentando un corso di Marketing e Comunicazione applicati al web 2.0 e non c’è giorno che io non pensi a Mad Men, la serie televisiva creata da Matthew Weiner.
Il mio insegnante, Buzzes , non conosce questo telefilm, quindi ho deciso che sopperirò a questa sua grave mancanza, scrivendone una recensione (questa è la punizione per 40 ore di adwords).
Se invece siete già amanti dei telefilm americani, come me, dimenticate tutto ciò che avete imparato fino ad adesso, perché Mad Men è un prodotto troppo nuovo, ha inventato un nuovo genere.
Mad Men è prima di tutto un gioco di parole. Madison Avenue, New York, è molto conosciuta per la sua “industria della pubblicità”. Mad Men significa “uomini matti”, così si chiamavano i creativi della pubblicità che lavoravano a Madison Avenue, giocando con il doppio significato di Mad, matto, e Mad, abbreviazione di Madison.
Il protagonista della storia è Don Draper (Jon Hamm), creativo, asso dell’agenzia pubblicitaria Sterling and Cooper e persona che ha un passato misterioso. Fin qui niente di nuovo, se non che il telefilm è ambientato in una New York anni 60 dove tutto sembra differente, perso in un passato ormai lontano e dove in realtà ritroviamo tematiche molto più che attuali.
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Questo telefilm è stato proposto da Matthew Weiner alla HBO, famosa rete via cavo americana (che ha prodotto tra gli altri Sex and The City, Six Feet Under, The Sopranos). La HBO ha deciso di rifiutare il progetto. Weiner si è proposto alla AMC, altra televisione via cavo, molto più modesta, ma che ha accettato di buon grado questo nuovo format. Sappiate che i dirigenti dell’HBO hanno pianto lacrime amare per circa quattro anni, poi hanno deciso di copiare Mad Men fare Boardwalk Empire, che è ambientato negli anni 30 e che trovo del tutto sopravvalutato.
Infatti Mad Men ha vinto qualsiasi tipo di premio (Emmy e Golden Globe come se piovessero), tutti i critici del mondo amano Mad Men, le persone si strappano le vesti e scrivono recensioni entusiaste (tipo questa, ma peggio), Weiner ormai si crede un incrocio tra Dante ed Hemingway (con un po’ di Shakespeare) e gli ascolti salgono (insieme al dramma del dietro le quinte, immancabile).
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Mad Men è uno dei telefilm più chiacchierati degli ultimi anni (google insight search ci dice che supera House MD nelle ricerche), che è amato dalla critica e che ha fatto sì che i dirigenti HBO si fustigassero in pubblica piazza per non aver capito le potenzialità del prodotto.
Perché io guardo Mad Men? Ho iniziato a vederlo per caso, perché sono un’appassionata di storia contemporanea e in particolare amo gli anni 60/70, ma poi mi sono lasciata catturare dalla storia di Don Draper e del suo passato misterioso, di Peggy Olson (Elisabeth Olsen), la protagonista femminile, un esempio perfetto di donna forte, che cresce e che “ce la fa” in un mondo dominato da uomini (secondo me le storyline di Peggy sono le migliori, soprattutto se interagisce con Don), della storia della moglie di Don, Betty Draper (January Jones), casalinga borghese annoiata, che ha due figli che ha avuto perché doveva averli, perché da lei si ci aspetta che sia moglie e madre e non di più, figlia di una mentalità antiquata che le sta stretta ma alla quale non riesce a liberarsi…
E poi, ovviamente, la pubblicità. In un’agenzia di pubblicità è il processo creativo il protagonista e uno dei pregi di Weiner è l’essere reale e quindi molte delle pubblicità che l’agenzia Sterling and Cooper si occupa sono pubblicità vere, esistite. Una delle prime storyline gira intorno alle sigarette Lucky Strike: siamo negli anni 60, cominciano i primi studi che collegano il fumo delle sigarette al cancro e la gente è preoccupata e i pubblicitari in crisi, Don Draper però salva la campagna pubblicitaria con un perentorio: it’s toasted. Perfetto. Non dice niente e rimanda a qualcosa di genuino. E questa pubblicità è esistita veramente.