Dov’eri l’11 settembre 2001?

Avevo cominciato a tenere un diario nel 2001. Quando lo rileggo adesso mi viene da ridere. A volte non sembro neanche io quella che scrive. L’undici settembre 2001 è impresso a fuoco nella mia memoria. Quella sera io scrissi sul diario il resoconto della mia giornata ed è chiaro che in quel momento non avevo ancora realizzato che il mondo, anche il mio mondo, era appena cambiato.

Le Torri Gemelle il 12 settembre 2001
Un’immagine di Ground Zero scattata dalla Nasa il 12 settembre 2001

“Ti ricordi dov’eri l’undici settembre 2001?”

E’ una domanda che viene fatta spesso, perché quel momento è diventato storia.
Io me lo ricordo dov’ero.
Ero andata insieme alla mia amica Emily (già nominata nel mio articolo sul G8 e Carlo Giuliani) in centro città, precisamente a Piazzale Kennedy. Avevo 14 anni, mancavano due giorni al mio compleanno. Era stata una giornata piena di avventure.
Piazzale Kennedy non è vicino a casa, è un po’ un viaggio per due ragazze che fino ad un anno  prima non potevano girare da sole neanche nel proprio quartiere. Inoltre, durante questo “lungo viaggio”, il nostro autobus venne tamponato.
Erano circa le sei e mezza di sera e stavamo tornando a casa, quando il mio cellulare, il sempre mitico 3310, squillò. Era mia madre.
“Torna a casa. Ci sono gli hooligans a Genova”. Questo è quello che riuscii a capire. “Gli hooligans? Sto tornando, sono a Sampierdarena con la Emily, aspettiamo l’autobus”. Mi girai verso la mia amica e le dissi:”Ci sono gli hooligans in centro che stanno facendo casino. Abbiamo fatto giusto in tempo a tornare indietro”.

Arrivata a casa chiesi:”Cos’è ‘sta storia degli hooligans?”. Entrai in cucina. I miei genitori erano in piedi davanti alla televisione accesa. E fu allora che capii. Chiamai subito la Emily. “Hai acceso la televisione? Hai visto che è successo?”. Restammo al telefono una mezz’ora, ma non parlammo molto.
Sul mio diario ho scritto che quella sera non mandarono Dragon Ball. In quel periodo, mi ricordo, lo mandavano in onda alle sette e mezza di sera su Italia1 e io non me ne perdevo una puntata, anche se erano le repliche delle repliche delle repliche.
Era un martedì, lo so, perché sul mio diario scrivo che quella sera  andò in onda l’unico episodio triste di Excel Saga. Excel Saga era uno degli anime che andavano in onda il martedì durante l’anime night di MTV ed era bello perché era completamente non-sense.
Come avevo detto, è chiaro che non avevo capito bene cos’era successo. Non lo realizzai ancora per qualche anno. Ero troppo impegnata ad essere una teenager. Cominciai a capire quando vidi le persone che si lanciavano nel vuoto. L’immagine che rimane con me, di quell’undici settembre, è quella.

The New Yorker, copertina di Art Spiegelman
La Copertina del New Yorker, 12 settembre 2001 (di Art Spiegelman)

Ho un’immagine romanticizzata degli Stati Uniti in me. Un’immagine da film. Le case di legno con la veranda e il giardino, il liceo e gli armadietti, i vicini che ti conosco e ti salutano, il vicino con cui cresci insieme e che poi, un giorno, ti chiede di andare insieme al ballo scolastico. La mia immagine dell’America non è New York, San Francisco, Los Angeles. La mia immagine degli Stati Uniti è Mount Pleasant, in South Carolina.
Ho proprio il pallino degli Stati Uniti da sempre. Quando avevo cinque anni comunicai a mio padre che un giorno avrei fatto il coast to coast a bordo di una harley.
Durante gli anni ho scoperto che non sempre ciò che mi dicevano i film e i telefilm era vero, che gli Stati Uniti, come molti altri paesi, avevano e hanno dei pregi così come dei difetti (sanità, pena di morte, Sarah Palin). Ciò nonostante è vero che l’undici settembre ha cambiato il mondo.
E’ stato solo un attacco agli Stati Uniti, se andiamo a vedere, eppure in qualche modo ci ha feriti tutti. Anche nelle piccole cose.
La mia scuola offriva agli alunni di prima un viaggio a Londra. La mia classe fu l’ultima ad andarci, nel 2000. Dopo l’undici settembre non fu più offerta. La mia professoressa mi spiegò che molte persone già faticavano a lasciare andare via i figli così lontani durante il primo anno, ma dopo una cosa del genere, essendo Londra la risposta Europa di New York, era inutile proporla. Quell’anno andammo in gita comunque. La scelta ricadde su Vienna, una città che era “tranquilla”.
La guerra in Iraq voluta da Bush ha fatto più vittime del crollo delle torri gemelle. E dopo l’undici settembre ci furono altri attacchi terroristici. Ma è l’undici settembre che ricordiamo, perché fu il primo, il più grosso e perché attaccò gli Stati Uniti.

Nel diario ho scritto che fu mia madre a spiegarmi cos’era successo, quando vidi le immagini del crollo delle torri gemelle.

“Un attacco terroristico”.

Nel diario la mia versione quasi quindicenne scrive come se capisse cosa “attacco terroristico” significa, ma ovviamente non si rende conto. Terrorista non era una parola comune all’epoca, capivo kamikaze solo perché avevo studiato la seconda guerra mondiale a scuola.
Nel diario azzardo anche un ipotesi su chi possa essere stato. Israeliani o palestinesi. Segno che ignoravo moltissime cose.
Alla fine concludo sperando che questo non porti ad una terza guerra mondiale. Era il mio terrore, quello. Fu in quel periodo che smisi di leggere libri sull’olocausto (ne avevo letti parecchi tra la terza media e la prima superiore), mi facevano venire gli incubi.

Si dice spesso:”Oggi è il giorno del ricordo“. E’ vero. Bisogna ricordare. Ricordare le vittime. Le persone che morirono in quell’attentato. Le persone che morirono a New York, a Londra, a Madrid, a Beslan, a Oslo Ricordare le persone che, da innocenti, morirono e muiono ancora oggi in Iraq e in Afghanistan: soldati e civili. Bisogna ricordare, sperando di non dover piangere più altri morti.

Aggiunta dell’ultimo minuto: ho visto parecchia gente che commenta la tragedia, ricordando cos’è successo in Cile l’undici settembre 1973, ricordando che la guerra in Iraq ha fatto più vittime dell’attentato.
Nessuno nega che ciò che gli Stati Uniti hanno fatto nel 1973 sia terribile, così come è un dato di fatto che la guerra in Iraq ha fatto più vittime dell’attentanto alle torri gemelle, ma non è giusto fare polemica in questo modo, perché oggi non si ricorda questo, oggi si ricordano, al di là di tutto, le vittime, le famiglie che li hanno persi, i poliziotti e i pompieri che hanno dato la vita per salvarne altre.  Tutto questo va al di là della politica, della religione, della vendetta.
L’undici settembre non bisogna ricordare il terrorismo, né fare a gara a chi ha sofferto di più, pensate invece alle ultime telefonate di alcune delle vittime. Sono stati molti quelli che, quando hanno capito che non c’erano più possibilità, hanno chiamato le loro famiglie e hanno detto:”I love you”. Perché questo è quello che conta. Solo questo.

Concludo segnalandovi l’iniziativa di StoryCorps che racconta, con la voce di chi c’è ancora, la storia di chi non c’è più.

Whenever I get gloomy with the state of the world, I think about the arrivals gate at Heathrow Airport. General opinion’s starting to make out that we live in a world of hatred and greed, but I don’t see that. It seems to me that love is everywhere. Often, it’s not particularly dignified or newsworthy, but it’s always there – fathers and sons, mothers and daughters, husbands and wives, boyfriends, girlfriends, old friends. When the planes hit the Twin Towers, as far as I know, none of the phone calls from the people on board were messages of hate or revenge – they were all messages of love. If you look for it, I’ve got a sneaking suspicion… love actually is all around.
Tratto da “Love Actually”