Con l’arrivo dell’Huffington Post versione italiana ci sono state varie polemiche. Allora ho pensato di tirare fuori i miei due centesimi sull’argomento. Come potete capire, il titolo del post è volutamente provocatorio.
Cominciamo subito parlando della grossa polemica: i soldi. Bisogna pagare i blogger? Avevo già accennato qualcosa con un commento nel post dedicato di Rudy Bandiera, ma volevo essere più chiara.

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Date le brioche ai blogger!

I blogger che scrivono contenuti per l’Huffington Post non vengono pagati. E io non lo trovo giusto. Cominciamo subito con il dire che non vengono pagati neanche i blogger che scrivono per l’Huffington Post made in USA: ma questo non rende la cosa giusta, al massimo ci ritroviamo di fronte ad un torto doppio. Infatti la polemica sul pagamento dei blogger dell’Huffington c’è anche dall’altra parte dell’oceano, soprattutto visto che la creatrice di questa struttura, Arianna Huffington, si è presa la bellezza di 315 milioni di dollari, quando l’Huffington è stato comprato da AOL. Subito dopo l’acquisizione di AOL Jonathan Tasini ha fatto causa all’Huffington in rappresentanza di migliaia di blogger non pagati: il giudice, nel Marzo del 2012, ha però giudicato in favore dell’Huffington Post.

Ora questo è il background. Veniamo invece a noi e al perché io credo che sia sbagliato non pagare i blogger. La mia domanda è una sola: l’Huffington Post Italia ha degli introiti? La risposta è sì. C’è molta pubblicità presente sull’Huffington Post. I soldi di questa pubblicità, una volta che server e domini sono stati pagati, a chi vanno? Vi dico a chi dovrebbero andare: ai blogger. E perché? Per il semplice motivo che sono loro che fanno fruttare i soldi. Senza contenuti non ci sarebbe niente da leggere. E senza niente da leggere le persone non andrebbero su Huffington Post. E senza persone sull’Huffington Post niente pubblicità e quindi niente soldi. A me sembra un ragionamento semplice.

Sull’Huffington Post ci sono anche molti scrittori più o meno famosi. Si passa da Geppi Cucciari a Giulio Tremonti, passando per Paola Concia. Io non credo che un articolo firmato da Giulio Tremonti valga più di un articolo firmato da Marco Rossi, anzi, per me è il contrario. Io so già cosa pensa Tremonti, perché lui ha espresso la sua opinione durante un’intervista in televisione, che i giornali hanno ripreso in differenti articoli, e che poi lui ha ribadito in radio. Ma non è questo il punto. Il punto è: anche queste persone hanno diritto ad un pagamento? Be’ dipende. Personalmente direi di no. Queste persone non sono blogger, hanno già un lavoro, che per altro li paga molto bene, ma pensandoci a mente fredda, penso che anche per loro valga il ragionamento di cui sopra: dipende da quanto producono.

Shakespeare scriveva per soldi. I blogger per la visibilità

Molti mi faranno l’obiezione che l’Huffington Post in fondo ti paga, perché ti da visibilità, ma a me viene un po’ da ridere quando sento queste cose. Vi svelo un segreto: la visibilità non si mangia, inoltre non è per nulla garantita.
Sebbene io incoraggi i miei clienti a fare guest-blogging (in maniera coerente), non prometto mai miracoli. Ma vi faccio un esempio più semplice. Mettiamo che io stia cercando una recensione sull’iPhone 5 e capito in un articolo dell’Huffington Blog che spiega meravigliosamente i pro e contro del nuovo prodotto di casa Apple: un post bellissimo, il più bello ed esaustivo che abbia mai letto. Arrivo in fondo e c’è il link all’autore e ai suoi contatti, tra cui un blog fantastico pieno di recensioni. Quante sono le probabilità che io clicchi sui quei link? Quante possibilità ci sono che io ricordi il nome dell’autore del post a distanza di una settimana, considerato la marea di informazioni che leggo? Dipende tutto da diversi fattori: se sono dell’umore giusto, se ho tempo, se ho la connessione che è lenta…

La visibilità è una cosa che non si può calcolare, non c’è una garanzia. Non si può dire:”Scrivi questo post e ti arriveranno mille nuovi contatti sul blog!”.

Pagare il blogger è la soluzione. Il blogger scrive, sforna contenuti, porta visite e quindi si deve pagare con moneta sonante. La visibilità può essere quel qualcosa in più, ma non può essere considerato un pagamento.

Le altre problematiche dell’Huffington Post Italia

Comunque per volere essere proprio precisi, il problema dell’HuffPost Italia non si limita a quello dei soldi. Prima di tutto: cosa ci fa Lucia Annunziata come direttrice? Con tutto il rispetto che posso nutrire per lei come giornalista, mi spiegate qual è la sua esperienza con i blog? Nessuna. Non sa di cosa sta parlando e ha lasciato dichiarazioni quanto meno dubbie in proposito.

I miei dubbi sulla direttrice si sono rivelate certezze, quando l’Huffington Post ha aperto: era il 25 settembre scorso e l’articolo di punta era un’intervista a Berlusconi. Da allora non sono più entrata sull’Huffington post. Su questa cosa tra l’altro è nata un’interessante discussione sulla pagina Facebook di Paolo Ratto, in cui sostenevo (e sostengo ancora) che chi è dietro all’Huffington Post Italia non ha pensato al target di riferimento. Se avessero pensato un attimo al target forse la faccia di Berlusconi in prima pagina ci sarebbe stata risparmiata. Quello che non hanno capito è che i lettori dell’Huffington non sono gli stessi che leggono Libero (Pro-Berlusconi) né quelli che leggono Repubblica (Anti-Berlusconi). Il target dell’Huffington erano quelli che si lamentavano di dover vedere Berlusconi anche sull’Huffington Post. Non c’è niente di nuovo nell’Huffington Post. Ed è un peccato, perché sono convinta che dato alle persone giuste poteva essere un progetto interessante.

Ultima cosa, ma non meno importante, vorrei ringraziare tantissimo coloro che hanno pensato bene di indirizzarmi automaticamente sull’Huffington Post italiano, quando clicco su quello inglese. C’è un inferno speciale per quelli come voi.

Prima di chiudere il post, volevo segnalarvi questo post de La Femme Cannibile che esprime a pieno il pensiero e che utilizza anche James Van Der Meme, quindi un mito. E ringraziare Paolo per la disponibilità, perché senza di lui non avrei mai potuto linkarvi la discussione di facebook (grazie, Telecom, sono solo 23 giorni che internet è lentissimo). Comunque già che siete su Facebook, potete likare anche me. Chiaramente questo post è stato incentrato sull’Huffington Post, ma non vuol dire che la discussione si limiti all’Huffington: se un blog ha scopo di lucro è giusto farsi pagare il lavoro.

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