N.B. Considero questo post strettamente collegato al post precedente sul Declino di Facebook.
C’era una volta, prima del web 2.0, l’era delle dotcom. Erano i primi anni del web e quasi tutte le grandi aziende avevano capito che c’erano grandi potenzialità da poter sfruttare e ci investirono parecchio, come in una sorta di frenesia collettiva. Il problema è che nessuno aveva veramente capito come far fruttare gli investimenti e la grande frenesia si trasformò ben presto in un disastro. Questa è la storia della “Dot-Com Bubble“, la bolla dot-com.

Keep-Calm-advertsing
Keep Calm! è la parola chiave

Internet sopravvisse e fu in quel periodo che, per la prima volta, qualcuno parlò di Web 2.0: il termine fu coniato da Darcy DiNucci nel 1999 e ripreso nel 2004 da Tim O’Reilly.

Torniamo al presente. Il web 2.0, un web fatto di conversazioni, è una realtà che fa parte della nostra routine di tutti i giorni. La maggior parte dei siti web che frequentiamo si alimentano grazie agli Ads. Al momento la pubblicità online è l’unico modo che molti siti hanno per monetizzare. Facebook, Twitter, Google ci offrono dei servizi, ma non sono gratuiti: semplicemente noi siamo il prodotto.

Sistema Facebook e sistema Google

Ci sono diversi tipi di pubblicità sul web, ma i due grandi del settore sono sicuramente Facebook e Google. Questi due colossi del web utilizzano due sistemi diversi per farsi pubblicità, ma hanno in comune il fatto di essere molto semplici da utilizzare, chiunque può fare pubblicità (*). Cerchiamo di spiegare la cosa nella maniera più semplice possibile.

Il sistema Google

Google è un motore di ricerca, per cui le sue campagne pubblicitarie vengono impostate su “Keywords”, su delle parole chiave che più di ogni altra cosa riescano a descrivere il business che si deve pubblicizzare.
Gli annunci appaiono poi tra i primi risultati, quando cerchiamo su Google le parole chiave in questione.
Oltre alla ricerca, gli annunci appaiono anche sui siti “partner” di Google, sui quali il motore di ricerca pubblica dei banner con i suoi annunci. I partner di Google sono quelli che aderiscono al programma Adsense. Aderire al programma Adsense significa che chi ospita gli annunci di Google riceve una compensazione per ogni click che viene scaturito. Anche questo blog fa parte del programma Adsense, che ho attivato poco meno di un anno fa e che mi ha fatto guadagnare la bellezza di due euro e venti. Gli annunci che vengono pubblicati su questo blog sono in linea con gli argomenti trattati, ma possono anche essere creati ad hoc sulle ricerche del visitatore, perché, ricordate, che Google vi osserva ed è per questo che se avete cercato “Volo per Malta”, poi per due mesi vi ritroverete annunci su alberghi e ristoranti a Malta ovunque andate sul web.

Il Sistema Facebook

Il sistema pubblicitario di Facebook invece funziona sulla base della profilazione dell’utente tipico a cui potrebbe interessare il prodotto da pubblicizzare. Ciò significa che io posso scegliere, a seconda del mio target, se fare in modo che la mia pubblicità la vedano uomini o donne, sposati, single o in relazioni complicate, di una certa fascia d’età e di un certo target geografico. Posso impostare che la mia pubblicità la vedano solo le persone che tra gli interessi hanno il jogging o a quelli che hanno fatto “like” ad Amazon. Insomma cerco di raggiungere ciò che penso sia il mio utente ideale.

Non c’è un sistema migliore

E’ difficile capire quale sia il sistema migliore per l’online advertising, più che altro perché ogni business ha esigenze diverse e quindi c’è bisogno di sistemi diversi. A mio avviso comunque si andrà verso un sistema di advertising ibrido, vista la (forzata) popolarità di Google+.
C’è però da dire che tra Facebook e Google è Google che vince a mani basse la sfida dell’ADS, come dimostra questa simpatica infografica.

Considerazioni sulla pubblicità online

Qualche mese fa ho preso una decisione in preda alla disperazione. Ho installato Adblock Plus su Firefox.
Sapete sono sempre stata dell’idea che la pubblicità sia un giusto prezzo da pagare in cambio di un buon servizio. Se non fosse che la pubblicità negli ultimi tempi è diventata invasiva ed esasperante.
Vi è mai capitato di aprire un link, rimandendo sulla tab di navigazione originale, e sentire partire il video pubblicitario in autoplay a tutto volume, facendovi venire un infarto? E vogliamo parlare dei banner sonori che sono ancora più infidi?

Qualche tempo fa sono stata accusata di essere ipocrita per la mia scelta di installare AdBlock Plus. Non credo di esserlo. Io sono prima di tutto un utente del web e penso che la pubblicità sia importante, ma non in questo modo. L’unica cosa che rimane all’utente, ogni volta che gli appare un ads, è irritazione. Non mi è mai capitato di sentire un video pubblicitario in autoplay e pensare:”Ehi! Questo è interessante! Fammi dare un’occhiata”. No, la mia preoccupazione principale è cercare di spegnere la pubblicità e, se non ci riesco, chiudere direttamente il sito che sto navigando, lanciando maledizioni.
Non ne potevo più, per questo ho installato AdBlock. Ciò che i marketers di oggi devono capire è che non sono la sola. Secondo questo articolo di Forbes, l’uso di Adblock è in aumento e sempre più persone lo scopriranno.
Quindi ci troviamo di fronte a due problemi. Da una parte abbiamo i siti internet di grande uso che dovranno trovare nuovi modi per riuscire a monetizzare e dall’altra abbiamo gli adetti a lavori che dovranno trovare nuovi modi per far conoscere i loro prodotti anche alla gente che utilizza Adblock.

Vi racconto la storia dello Storytelling

Nel caso ve lo stesse chiedendo… sì, mi è capitato di creare campagne di pubblicità a pagamento sia su Google che su Facebook. Il problema è che a volte una buona SEO e un lavoro certosino non bastano a raggiungere i risultati che si vogliono ottenere. Al momento la pubblicità online ancora funziona. Ancora moltissimi utenti cliccano sugli annunci.
Detto questo credo anche che la pubblicità sul web si stia già reinventando. Il futuro, a mio avviso, è nello storytelling.

Storytelling is increasingly used in advertising today in order to build customer loyalty. According to Giles Lury, this marketing trend echoes the deeply rooted need of all humans to be entertained. Stories are illustrative, easily memorable, and allow any firm to create stronger emotional bonds with the customers. – Wikipedia

Sostanzialmente il nostro compito, come marketers, è raccontare. Se saremo dei buoni bardi, i risultati arriveranno.

Esempi di Storytelling

Numero 1 – Dove

La Dove è un’azienda cosmetica molto conosciuta e i cui prodotti sono davvero ottimi. Da che io ricordi la Dove è sempre stata attenta all’immagine della donna nella pubblicità. E’ una delle poche aziende che nei suoi spot inserisce donne davvero diverse (diverse etnicità, diverse età e diverse fisicità). Questa è una politica aziendale ben radicata, inserita nella campagna “Dove Campaing for real Beauty“, creata nel 2004. L’ultimo video virale di questa campagna è il seguente, probabilmente l’avrete già visto.

Cosa ne pensate? L’idea è semplice, ma il messaggio è forte ed è in linea con gli altri video (sempre successi virali) dell’azienda.
Il primo successo di Dove sul web risale al 2006. Il video “Evolution” è così importante che si è meritato una pagina di Wikipedia dedicata. Vi segnalo anche, sempre parte della campagna, l’hack per photoshop che avevano creato qualche tempo fa.

Numero 2 – Dollar Shave Club

Sì, lo so. La Dove è una marca molto conosciuta, che è della Unilever, una delle più grandi multinazionali al mondo: è quasi da aspettarsi che facciano video che funzioni e che diventino virali. Ottima obiezione. Per cui passiamo a Dollar Shave Club.
Mike Dubin era una conosciuto, almeno lo è stato fino al 6 Marzo 2012, giorno in cui ha postato un video in cui presentava la sua attività. Mike ha deciso di raccontare la sua azienda in maniera scanzonata e allegra e ha “vinto ad internet”.

Avevo già parlato di Dollar Shave Club, quando ho scritto l’articolo “Le migliori campagne marketing del 2012” (il post è pieno zeppo di esempi di pubblicità creative e virali).

Numero 3 – La semplicità della Thailandia

E’ la Thailandia che in questo periodo ci ha conquistati con una pubblicità che è un perfetto esempio di storytelling. Il video, che dura tre minuti, ci racconta la storia di un uomo e di un ragazzo. Questa pubblicità non è solo uno spot per una compagnia telefonica, ma è una storia universale sulla comunicazione, sulla generosità, sulla famiglia. Le storie dell’uomo e del ragazzo si intrecciano e noi rimaniamo così, davanti allo schermo, con le lacrime agli occhi. Passiamo il video ai nostri amici su Facebook, dicendo loro:”Ehi, questo lo devi vedere!“. Scriviamo su Twitter che “questo spot non mi ha fatto piangere, no. E’ solo che piove. Dentro casa.” e lo condividiamo col mondo. Ed ad un certo punto la cosa diventa virale: l’abbiamo visto tutti, ci sentiamo più speranzosi, un po’ più felici. Questo video ci ispira ad essere persone migliori.


Dalla Thailandia e dall’Asia arrivano spesso video di questo genere.

Conclusioni

Potrei continuare a citarvi per giorni e giorni esempi di campagne pubblicitarie che sono distinte per la loro originalità, creatività e per la loro abilità di essere visibili anche in un mondo in cui sempre più gente usa Adblock. Ce ne sono tante altre che hanno cercato di raccontare una storia e hanno fallito il loro intento per mancanza di tempismo o perché non sono stati abbastanza convincenti (i #Guerrieri di Enel è l’esempio più recente).

La pubblicità funziona, la pubblicità può far molto, ma deve essere pensata in una maniera diversa. Inanzitutto bisogna capire che il troppo stroppia. Che non ne possiamo più di video in autoplay, di banner sonori. Non ce la facciamo più a districarci tra take-over e floating ads. Ela Chicco deve smetterla di stalkerarmi su Facebook solo perché sono una donna di 27 anni (la mia voglia di maternità è intorno allo zero assoluto, deal with it).

Se Matt Cutts ci dice che per i siti internet l’importante sono i contenuti, è perché i contenuti sono importanti. Internet ci da una marea di informazioni, per questo stiamo imparando ad essere consumatori più attenti, guardiamo le recensioni di un prodotto, ci fidiamo di blogger e vlogger, guardiamo le aziende come rispondono sui social quando vengono presentati dei problemi e reagiamo di conseguenza. Per questo il passaparola è uno dei migliori mezzi per farsi pubblicità. Lo storytelling può essere il modo più giusto per creare il buzz iniziale, senza esasperare le persone.

Ho iniziato questo post parlando della “dot-com bubble” per un motivo. La pubblicità al momento è l’unico modo che i siti web di grande traffico hanno per finanziare le loro spese. Ma anche qui si tratta di un “troppo che stroppia” e sempre più persone, me compresa, credono che questa faccenda della pubblicità ovunque ed ad ogni costo stia per rivelarsi un fallimento. Un giorno, non troppo lontano, ci ritroveremo davanti alla bolla dei social? A mio avviso è un rischio concreto.
Proprio oggi Instagram, proprietà di Facebook, ha annunciato che inizierà ad introdurre la pubblicità negli Stati Uniti dal prossimo mese. Non sono mai stata convinta della scelta, secondo me Facebook avrebbe dovuto cercare di fare qualcos’altro per monetizzare, per esempio offrendo servizi integrati a pagamento (tipo migliore qualità fotografica o pacchetti di nuovi filtri, etc).
In ogni caso a questo punto ci resta solo che aspettare, ma sappiate che io vi avevo già detto che il miglior modo per far marketing è avere un blog.

(*) Il fatto che fare pubblicità sia facile, non significa che dovreste farvi pubblicità da soli. Gli esperti ci sono per una ragione: servono per aumentare risultati con il miglior prezzo.