Non so come iniziare questo post. Potrei iniziare dicendo che è successo di nuovo, che dopo il fallimentare e orribile risultato di #ASKJP, qualcun altro ha avuto la pessima idea di prendere un personaggio controverso e di ideare una Q&A con un hashtag dedicato. Potrei anche iniziare chiedendomi se quelli che hanno pensato a #AskThicke si siano mai connessi ad internet prima di oggi. Come potevano pensare che fosse una buona idea?
Semplicemente vi dirò che #AskThicke era un disastro annunciato.
Have a burning question for @robinthicke? Submit your ?s for tomorrow’s Twitter Q+A using #AskThicke! pic.twitter.com/LwWKWlBysg
— VH1 (@VH1) June 30, 2014
La problematica dietro a Robin Thicke
L’anno scorso la canzone “Blurred Lines” è stata un vero tormentone. Su Youtube la canzone ha ricevuto molti commenti e molte condivisioni. Ma il buzz mediatico dietro a “Blurred Lines” non è dovuto che ci troviamo di fronte ad una canzone orecchiabile. No.
La canzone di Robin Thicke ha creato un bel po’ di commenti negativi. Il motivo è solo in parte da ricercarsi nel video piuttosto esplicito, ma nel testo. Il testo della canzone infatti è decisamente misogino: Thicke definisce la donna a cui canta un’animale, una “bitch” la cui traduzione letterale è cagna ma può anche essere usato come sinonimo di donna dai facili costumi. La cosa peggiore di “Blurred Lines” è che il testo di Thicke sembra anche un’apologia dello stupro. La donna nella canzone gli dice di no, perché è una “good girl” e tanto lui sa che “i know you want it”. Sono queste le blurred lines di Thicke: non è davvero un no quello della ragazza della canzone.
Si potrebbe pensare che in fondo è solo una canzone, ma Project Unbreakable ci dimostra che la canzone di Thicke è realtà per tante vittime di violenze sessuali (soprattutto donne, ma anche uomini).
Sia ben chiara una cosa: no significa no. L’assenza di un no non è un sì. La colpa dello stupro non è della vittima ma di chi commette lo stupro. Non importa cosa indossava la vittima, non importa come si comportava la vittima, non importa se la vittima avesse bevuto.
Recentemente è uscita una nuova canzone di Thicke, “Get her back”. In questo video Thicke si rivolge alla sua ex-moglie per riaverla indietro. Il video questa volta sembra trivializzare la violenza domestica. Anche il testo sembra manipolativo e ricade in alcuni cliché del rapporto di violenza domestica.
Chi ha pensato fosse una buona idea?
Mettiamo pure che non siate d’accordo con ciò che affermo. Robin Thicke è un semplice cantante e le sue canzoni sono simpatiche e fanno ballare e sei sempre fissata col sessismo e lo vedi da tutte le parti. Ci può stare. Ma a prescindere da tutto questo… non sono l’unica che ha pensato queste cose. C’è tanta altra gente come me. C’è tanta altra gente che non ha amato i “messaggi” delle canzoni di Thicke e queste persone, grazie ai social, possono avere una voce in capitolo.
Una cosa mi è certa ed è che chi ha avuto la brillante idea di creare l’hashtag #AskThicke non ha idea di come funzioni il web. Dietro ad #AskThicke non c’è un minimo di ricerca dell’argomento: sarebbe bastato leggere qualche commento al video di “Blurred Lines” per capire che c’era un dibattito in corso e c’erano delle controversie sul personaggio. Chi ha creato #AskThicke non ha controllato i precedenti di questo genere di operazione (#AskJP come dicevo prima, ma anche l’intramontabile #MCStories di MacDonald’s è sullo stesso livello). Insomma: queste sono persone che del web non ne capiscono nulla.