Era un venerdì come tutti gli altri. Dovevo finire di lavorare sul mio calendario editoriale di Natale. Ho molto lavoro ed è il motivo per cui non riesco ad aggiornare questo blog, di cui comunque ho appena rinnovato il dominio.
“Appena ho un po’ più di tempo – mi dico spesso – riprendo a scrivere”. Ho tante idee in testa, tante cose da condividere sulla SEO, sui Social, sul lavoro ai tempi di Skype e sui nuovi telefilm del 2015, su Netflix e anche sui miei viaggi a Milano, a Lucca e a Roma…
Ma scrivo adesso, di getto, dopo i fatti di Parigi. Ci sarebbero tante cose da dire in proposito, ma preferisco stare zitta al momento: le informazioni sono ancora incomplete e qualsiasi cosa dicessi probabilmente sarebbe fuori luogo. Credo nel silenzio.
Sui social non sono solo Elisa però. Sono anche la persona dietro agli account social dei miei clienti e cosa posso fare per loro?
La mia posizione è delicata.
Non posso continuare con la mia normale programmazione, non posso fare finta che non sia successo niente, ma non posso neanche parlare da vicino della tragedia, perché diventerebbe un modo come un altro per pubblicizzarmi sulle spalle di una tragedia, una specie di sciacallaggio 2.0.
Ho scelto di nuovo la strada del silenzio.
Ho messo tutto in pausa, sperando che qualche giorno di riflessione mi portasse qualche idea. Come si gestisce una situazione del genere? E la verità è che non lo so. Personalmente credo che evitare di parlare non sia una buona soluzione, non si può fare finta di niente, ma d’altra parte si rischia di strumentalizzare la situazione: le parole diventano pesanti come macigni.
La vita del Social Media Coso è fatta anche di questo: di dubbi e incertezze.
Il Social Media Coso è un essere umano e come ogni essere umano si trova impreparato di fronte a questo genere di cose.
Da venerdì sera mi sento un po’ apatica. Il mio cuore si spezza per i morti in Francia e per quelli di Beirut. So già che andremo incontro a del nuovo razzismo e ho già nausea. Niente cancella il mio ottismo e la speranza nel futuro. Potrete dirmi che sono pazza, ma sono freddi dati a confermarci che stiamo vivendo nel miglior momento storico possibile.
E se il marketing deve essere umano, posso davvero trasmettere ciò che sento, questi sentimenti ingarbugliati, questa tristezza mista ad ottimismo, questa nausea mista a speranza, su una pagina Facebook di brand?
La risposta, dopo un weekend, di riflessioni è no. Il marketing non è ancora pronto ad essere così umano come lo sono le persone. Le mie parole sono calcolate. E spero di prendere le decisioni giuste.