Il 27 settembre è uscito il nuovo libro di J.K.Rowling, anche conosciuta come “Ispirazione della mia vita”.
Su “The Casual Vacancy” ci sono grosse aspettative per il semplice fatto che è il primo libro della Rowling dopo Harry Potter e quindi ovviamente le persone si chiedono se la scrittrice riuscirà a ripetere il successo. A me invece piacerebbe sapere perché l’ebook di “The Casual Vacancy” costa due sterline in più della versione cartacea, perché non ha senso e a me le cose senza senso danno fastidio (e per altro parrebbe che il formato ebook abbia anche qualche problemuccio)
Comunque mentre girovagavo nel vasto mondo del world wide web mi sono imbattuta nella recensione di “Casual Vacancy” del New York Times e Michiko Takutani, la recensitrice, è stata abbastanza brutale. Come recensione non mi è piaciuta molto, perché la Takutani continuava a paragonare “The Casual Vacancy” a “Harry Potter” nonostante le storie, e l’audience a cui si rivolgono, siano completamente diverse. Ma quello che più mi ha colpito è stato un commento, mi ha colpito così tanto che ho deciso di costruirci sopra un post.

Commenti su Amazon e GoodReads meglio delle recensioni ufficiali
Irina ha centrato il punto

Nel commento Irina si chiede se con le recensioni di Amazon e di GoodReads, i critici non stiano diventando più cattivi, cercando di recuperare in popolarità. La sua domanda è retorica, perché dopo augura buona fortuna ai critici per la tattica e lei, scrive, si affiderà ai commenti degli utenti su Amazon e Good Reads.
Trovo questo commento emblematico: ecco spiegato il social web in poche righe.
Quale è il problema della Takutani?
Il problema è che Irina non la conosce.
Non sa se può fidarsi di lei. Non sa quello che le piace o quello che non le piace. Mentre conosce i suoi vicini e i suoi amici su GoodReads e si può fidare del loro giudizio.

Questo discorso non si limita ai libri, ma va oltre ed ormai si trovano recensioni su qualsiasi cosa e ci fidiamo delle opinioni degli altri utenti, anche se non li conosciamo. Com’è possibile? Perché il web ha ridato il potere alle persone, perché adesso le persone possono farsi ascoltare e la loro opinione conta e ci interessa di più ciò che dicono  persone come noi che di quello che vuole dirci il brand. Anche per colpa della crisi, ci stiamo riprendendo il ruolo di consumatori consapevoli. Ci interessa davvero sapere se un prodotto funziona, come funziona e per quanto. Vogliamo sapere se quello che stiamo per comprare è un qualcosa di buono, vogliamo sapere dove è stato fatto, con che materiali e se è un prodotto biologico.
E lo sapete la cosa strana?
E’ che siamo pronti a pagare anche di più per avere un prodotto che risponde a certe caratteristiche, ma spendiamo solo dopo aver letto opinioni, esserci informati, aver fatto ricerche.
La pubblicità in televisione continua a crearci falsi bisogni, ma non basta più, perché siamo tornati ad essere consapevoli di noi stessi. E non solo: siamo anche consapevoli della nostra forza, sappiamo che andare sulla pagina facebook di un brand a lamentarci serve, sappiamo che ci devono ascoltare e quando non lo fanno, possiamo spargere la voce su altri canali.
Questo sarà il nuovo mercato, perché internet sta crescendo e adesso c’è ancora molta gente che sta imparando ad usarlo, ma tra qualche anno tutti saranno consumatori consapevoli e tutti saranno “armati di tastiera” (anzi: di smartphone, se tanto mi da tanto)
Volete degli esempi? Quanti ne volete, ce ne sono come piovessero.

  • L’ultima azienda che ha avuto dei problemi per colpa di pessime scelte è stata la Parah, colpevole di aver scelto come testimonial Nicole Minetti: credo che il community manager dell’azienda si sia suicidato, visto il casino che è scoppiato sulla loro pagina Facebook e che li ha portati a fare dei grossi passi indietro, cominciando proprio con il licenziamento della Minetti.
  • L’anno scorso il web ha organizzato un boicottaggio al Gruppo Omsa, in seguito alla decisione della società di licenziare più di 300 operai e di trasferire gran parte della produzione in Serbia, nonostante il gruppo fosse in profitto. Il boicottaggio riuscì e l’azienda, il giorno della protesta, vide i suoi risultati abbassarsi del 40% circa (purtroppo non riesco a trovare dati in proposito, quindi sto andando a memoria). La protesta contro il Gruppo Omsa ha creato grattacapi anche a RTL 102.5 che sulla sua pagina facebook ha ospitato un concorso del gruppo Omsa: e no, la gente non si era dimenticata di quei 300 e passa lavoratori lasciati a casa l’anno prima.
  • Ho avuto io stessa i miei problemi con un brand su Twitter e ho documentato anche sul blog (e c’è anche il seguito): la storia non si è risolta felicemente, non per me quanto meno, che li ho bloccati su Twitter e che non mi avranno mai come cliente.
  • E questo trend non si limita all’Italia, è un problema anche all’estero e l’aziende spesso sono impreparate di fronte alla rabbia degli utenti.

Chiaramente non tutte le storie sono uguali e ci sono aziende che sono “too big to fail”, quanto meno sui social media. L’esempio più incredibile è quello della Apple che, nonostante critiche, fino ad adesso non ha mai avuto grossi problemi, in parte perché per alcuni l’Apple è un culto e come tale viene trattato. La Apple è aiutata dal fatto che non ha molta concorrenza nel settore e persone come me (cioè quelli che riconoscono i grossi limiti di Apple, ma anche quelli di Android) non hanno molta scelta.

Comunque la Apple è un caso particolare, la vera rivoluzione è che le aziende adesso non possono ignorare i clienti e che devono abituarsi all’idea: il consumatore è consapevole.